IL PIANTO NEL NEONATO

La nostra società non accetta il pianto, soprattutto negli adulti. Esso viene considerato come un segnale di debolezza; qualcosa da dover preferibilmente impedire e prevenire, anche nei bambini.
Ma il pianto è il mezzo di comunicazione privilegiato dei neonati ed è un comportamento di adattamento psicologico il cui scopo è scatenare una reazione di allarme nei neogenitori. I neonati possono comunicare quasi solo attraverso il pianto.
Il messaggio dietro al pianto del neonato
Attraverso di esso i neonati esprimono la sensazione di angoscia e malessere che stanno sperimentando. Che sia la sensazione di fame, la paura, il pannolino bagnato o la noia, il piccolo può farci sapere che sta vivendo una situazione di disagio solo piangendo.
Se il bambino viene lasciato piangere a lungo senza essere consolato, imparerà che non c’è nessuno disponibile per lui, nessuno su cui poter contare e a cui poter affidarsi. Se gli viene impedito di sperimentare il conforto da parte chi si occupa di lui, e se questo si verifica non soltanto una volta, ma ripetutamente, le conseguenze ci saranno.
Sottolineo il “ripetutamente” perché ovviamente capita a tutti i genitori di sperimentare quella volta o quelle (poche) volte in cui non si riesce ad andare dal bambino nel giro di pochi secondi o minuti. Ovviamente questo non produce danni. Ma sto parlando dei bambini che vengono lasciati da soli mentre piangono perché si pensa che siano “manipolatori” e “viziati”.
Conseguenze del pianto non ascoltato
Studi e osservazioni condotti negli orfanotrofi, in passato, hanno evidenziato come i bambini che venivano lasciati per molto tempo soli a disperarsi, dopo poche settimane presentavano una condizione chiamata “depressione anaclitica”. I neonati non emettevano suoni, si muovevano il meno possibile, non reagivano agli stimoli, non sorridevano più.
Erano come rassegnati al fatto che a nessuno importasse di loro. Erano come morti emotivamente. E spesso si lasciavano morire anche fisicamente. Erano neonati accuditi e nutriti normalmente, il cui fisico era quindi considerato, ma ahimé non accadeva altrettanto per la parte emotiva. Non venivano “amati” e coccolati, e il pianto non veniva ascoltato.
Al contrario, i neonati che ricevono prontamente risposte ai loro richiami costruiscono una fiducia di base sia nei confronti degli adulti che verso se stessi. Paradossalmente (a differenza di quello che pensano i fautori del “lascialo piangere”) questi bambini diventano più precocemente autonomi, più sicuri ed esploratori dell’ambiente circostante.
Coliche o nervosismo?
L’85% dei neonati manifesta a fine giornata un tipo di pianto irritabile e nervoso, che li aiuta però a scaricare la tensione accumulata durante il giorno. Il pianto fa si che si liberino due tipi di ormoni del benessere: oppiacei e ossitocina, che funzionano come anestetizzanti naturali favorendo il rilassamento. Per questo anche agli adulti fa tanto bene piangere!
Quando ci si trova di fronte a questo tipo di pianto, detto “pianto emotivo”, la cosa migliore da fare è lasciare che il bimbo si sfoghi, cercando di non eccedere nei tentativi di tranquillizzarlo. Meglio rimanergli vicino, confortarlo, contenerlo, facendogli capire che non è solo in quel momento difficile.
Imparare insieme a superare le difficoltà
Il pianto obbliga i genitori alla ricerca di una soluzione. Ogni volta che gli sforzi dei genitori per risolvere il pianto dei figli hanno effetto, essi traggono coraggio dal successo dell’esperienza. Se invece i tentativi non funzionano, i genitori proveranno altre soluzioni, una dopo l’altra.
Un insuccesso può portare i neogenitori a fermarsi, fare un passo indietro, chiedersi cos’altro provare e, così, osservare più profondamente il proprio bambino e imparare a conoscerlo sempre meglio.
Imparare a fare da genitori ad un neonato significa imparare dagli errori commessi e dai successi ottenuti.
Conclusioni
I messaggi importanti che voglio passare con questo articolo sono quindi che:
- il pianto non è un mezzo dei bambini “viziati” di manipolare i genitori, soprattutto se neonati, ma l’unico modo che essi hanno per comunicare il proprio malessere
- i genitori dovrebbero seguire il proprio istinto senza riempirsi la testa di teorie strane, e facendo una piccola autoanalisi si capirà da soli che l’istinto porta il genitore ad andare dal proprio piccolo quando quest’ultimo piange
- stando vicino al proprio piccolo che piange, i genitori fanno la cosa migliore per il proprio neonato, aiutandolo ad avere fiducia in se stessi e nella persona che si occupa di loro, e facendo in modo che da grande sia un adulto più equilibrato e sereno
Insomma, stare vicino al proprio bambino, abbracciarlo e consolarlo anche quando non si sa bene come farlo smettere di piangere, è sempre la scelta migliore. Un investimento per il futuro!
Foto di Cheryl Holt da Pixabay
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